In questo schema tridimensionale è raffigurato un paesaggio montano nel quale si distinguono alcuni gruppi montuosi, le valli scavate dai corsi d'acqua e dai ghiacciai, i versanti modellati dall'erosione. I diversi colori delle stratificazioni rendono evidenti le relazioni esistenti tra questi elementi del paesaggio e la struttura geologica che le contiene. In questo caso, come spesso accade nella realtà, tale struttura consiste in una successione verticale di strati planari a giacitura sub-orizzontale che quando intersecano la superficie reale, la cui curvatura varia continamente nello spazio, creano una geometria complessa simile a quella rappresentata. La sua interpretazione può essere ulteriormente complicata dalla presenza di disturbi tettonici (dislocazioni) che modificano la posizione e la giacitura degli strati rispetto al contesto originario. Inoltre nella realtà e in particolare nelle aree pianeggianti, la maggior parte se non tutta la superficie può essere ricoperta dai sedimenti e dalla vegetazione.
           Le forme del rilievo terrestre derivano dalla rielaborazione del substrato roccioso da parte delle forze endogene, le quali generano faglie, sovrascorrimenti, eruzioni vulcaniche ecc., e da parte dei processi erosivi a cui partecipano le brusche variazioni di temperatura e l'azione ripetuta degli agenti atmosferici, delle acque dilavanti, del moto ondoso, della neve, del ghiaccio che agendo insieme o singolarmente sulle rocce esposte in superficie ne causano la disgregazione meccanica e l'alterazione chimica. La forza di gravità, il vento e il flusso delle acque superficiali provvedono poi a rimuovere e a trasportare gran parte dei prodotti del disfacimento in altri luoghi, dove dall'accumulo dei detriti e dalla precipitazione dei soluti si formeranno nuove rocce sedimentarie. Queste ultime, insieme a quelle generate dall'attività magmatica che fonde e ricicla le rocce più profonde, con il passare del tempo andranno a formare un nuovo substrato. Il paesaggio naturale è il risultato della lenta e incessante azione di demolizione che opera sulle rocce così formatesi e che agisce più efficacemente su quelle sollevate e portate in quota dai movimenti tettonici. Il processo di erosione in genere si svolge impercettibilmente, con un ritmo regolare interrotto solo da rari eventi catastrofici: frane, alluvioni, ecc. Per un osservatore umano è quasi impossibile rendersi conto della reale portata del fenomeno, poiché le trasformazioni che avvengono nel corso di una vita sono del tutto insignificanti. Ma alla scala dei tempi geologici tutto ciò può produrre effetti devastanti e spianare intere catene di montagne. Nel contempo l'erosione rende possibile avere un'immagine in sezione del substrato, di cui altrimenti vedremmo solo la parte più superficiale, e ci permette di studiarne l'evoluzione.
           Per substrato roccioso (bedrock) si intende la parte di roccia inalterata che solo occasionalmente 'affiora' dal suolo, dalla vegetazione o dalle altre coperture superficiali di materiali sciolti. Vi sono alcune zone della crosta terrestre, le Alpi Meridionali ne sono un esempio, dove il substrato risulta costituito, a grandi linee, da una pila di potenti strati ciascuno dei quali è caratterizzato da un differente tipo di roccia o da una loro peculiare associazione. Nel disegno i vari colori servono proprio a evidenziare questa particolarità tipica delle sequenze sedimentarie. L'erosione agisce selettivamente sui diversi materiali e in alcuni casi il pendio pùo assumere un profilo a gradinata nel quale le rocce resistenti formano pareti verticali o comunque più acclivi e quelle facilmente erodibili superfici pianeggianti o debolmente inclinate. Non sempre sul terreno si ha una visione d'insieme dell'intera sequenza, ma muovendosi tra un livello all'altro è facile accorgersi che l'aspetto e le caratteristiche delle rocce affioranti dalle coperture mutano con la quota. Il passaggio tra due strati diversi può essere netto oppure sfumato e a volte, prima della transizione definitiva, possono alternarsi per un breve intervallo rocce dell'uno o dell'altro tipo.
Erosione selettiva su un versante a reggipoggio.
           Fondamentalmente questo tipo di stratificazione riflette il trascorrere del tempo e l'avvicendarsi dei diversi ambienti deposizionali che sono venuti a crearsi nel corso della storia geologica che ha posto le condizioni perché quella successione di strati potesse materializzarsi. Nelle rocce che ne fanno parte sono registrate e preservate, in ordine cronologico, le indicazioni che ci consentono di ricostruire gli avvenimenti di un passato lontanissimo da noi. Per questo motivo si definisce 'Stratigrafia' quella branca della geologia che studia le rocce della crosta terrestre per ricostruirne l'evoluzione e, insieme alla Geologia storica, la storia del pianeta Terra nel suo complesso. La composizione e la tessitura delle rocce dipendono dall'ambiente chimico-fisico e dai processi che le hanno foggiate; al loro interno si possono trovare fossili di organismi viventi, strutture sedimentarie, specifici minerali, elementi e composti chimici che forniscono ulteriori informazioni. Le tracce del passato possono essere confrontate con quelle lasciate dai processi geologici più recenti o attuali e le analogie riscontrate permettono di decodificare i segnali e leggere nella sequenza stratigrafica la storia più antica, quella relativa al cosiddetto 'tempo profondo' misurabile solo alla scala dei tempi geologici. L'età della Terra è di circa 4,6 miliardi di anni, mentre l'intera storia della nostra specie si svolge in confronto in un intervallo insignificante. La comparsa di Homo sapiens infatti si fa risalire a circa 300.000 anni orsono e la sua diffusione sul pianeta a partire da non prima di 100.000 anni fa. La civiltà umana si sviluppa nel corso di appena 10.000 anni.
Rocce sedimentarie stratificate.
           Esiste una forma più elementare di stratificazione presente comunemente nelle rocce sedimentarie, che possono essere più o meno 'fittamente' stratificate, ma in questo caso tutti gli strati si somigliano tra loro. Tecnicamente sono volumi di roccia a geometria planare separati da discontinuità fisiche (giunti di strato) dovute all'alternanza di singoli episodi deposizionali e fasi di non deposizione. Lo spessore dei singoli strati di una sequenza di questo tipo, che può essere assolutamente ripetitiva oppure ciclica, si misura in centimetri, decimetri e in alcuni casi in metri. Le strutture millimetriche che si trovano a volte all'interno dei singoli strati e che possono avere origine da svariati processi si chiamano invece laminazioni. In stratigrafia il concetto di strato assume un significato più ampio; si tratta anche qui di volumi di roccia compresi tra due limiti fisici, uno inferiore chiamato base o letto e uno superiore, il tetto, ma in genere lo spessore di queste unità convenzionali ovvero la loro 'potenza' è dell'ordine delle decine o centinaia di metri. Questa proprietà ci consente di poterle rappresentare negli elaborati cartografici ad una scala appropriata. La suddivisione dell'intera serie stratigrafica in più unità distinte non si basa esclusivamente sulle caratteristiche fisiche, ma è soprattutto di natura formale. Ogni unità può raggruppare rocce di tipo diverso, a loro volta stratificate o meno, ed è indifferente che si tratti di rocce sedimentarie, magmatiche o metamorfiche. Gli strati che nel disegno sono contraddistinti da colori diversi sono infatti degli insiemi compositi, di cui spesso fanno parte rocce relativamente omogene per composizione e proprietà, ma che possono associare anche due o più varietà litologiche completamente differenti. In genere però tutte le rocce di una stessa unità hanno in comune l'ambiente sedimentario e il processo da cui derivano, sono state messe in posto in un preciso intervallo temporale e quindi si collocano in un definito livello stratigrafico.
Chiameremo questo tipo di strati unità litostratigrafiche. La formazione è l'unità di base mentre il gruppo e il membro sono rispettivamente le unità di rango superiore e inferiore. Quindi più formazioni possono far parte di un gruppo mentre una singola formazione può essere a sua volta suddivisa in più membri. Nel prossimo capitolo faremo degli esempi pratici che ci permetteranno di capire meglio tutte queste affermazioni.
Più formazioni sovrapposte costituiscono una successione stratigrafica.
           L'insieme delle unità litostratigrafiche sovrapposte in ordine cronologico costituisce una successione. Per ogni successione stratigrafica sono definiti un ambito temporale e uno territoriale. L'intervallo temporale può comprendere uno o più cicli deposizionali. Un ciclo inizia con la formazione di una depressione della crosta terrestre capace di accogliere e preservare i materiali che vi si accumulano e termina al cessare di questo processo che può avvenire per diversi motivi (assenza di sedimentazione, riempimento, sollevamento del bacino e conseguente erosione di parte dei depositi ). Un ciclo di questo tipo legato alla tettonica delle placche è il cosiddetto 'ciclo di Wilson' che inizia con la separazione e l'allontanamento di due placche continentali (rifting) e poi prosegue con la formazione di un oceano in epansione nella zona di lacerazione della crosta (spreading). La geometria sferica della Terra fa si che prima o poi vi sarà un'inversione del movimento che causerà la convergenza delle placche e la subduzione della crosta oceanica con conseguente formazione prima di un arco vulcanico e poi di un orogene nell'area di sutura tra le masse continentali in fase di collisione. Riguardo l'estensione della successione nello spazio vi sarà sempre un territorio più o meno vasto (l'originario bacino sedimentario) nel quale la sequenza stratigrafica si mantiene relativamente uniforme e le variazioni locali sono inquadrabili nel medesimo contesto evolutivo. I limiti territoriali possono essere netti oppure sfumati, per esempio quando la sequenza si trasforma gradualmente in quella adiacente che ne conserva solo alcune parti. Negli esempi che seguono è rappresentata la successione permo-triassica presente nel territorio delle Dolomiti centro-occidentali che si è deposta tra la fine dell'orogenesi ercinica (o varisica) e l'inizio dell'orogenesi alpina. I suoi confini geografici sono netti a nord e a sud in quanto definiti da linee tettoniche che ne marcano le discontinuità con i territori limitrofi, mentre oltre il Cordevole a est (Dolomiti venete e friulane) e oltre l'Adige a ovest (Dolomiti di Brenta) le diversità si manifestano con una prevalenza dei livelli superiori del Triassico terminale e Giurassico pochissimo rappresentati invece nell'area centrale.
           Raramente in superficie la successione che ci interessa appare nella sua interezza. Per ricostruire la sequenza ideale e completa da un punto di vista stratigrafico occorre perciò 'riassemblare' opportunamente i diversi spezzoni della stessa serie che normalmente affiorano in luoghi differenti. Per evitare errori di interpretazione, nell'eseguire questa operazione è essenziale saper riconoscere sul terreno i disturbi causati dai movimenti tettonici, le dislocazioni e sovrapposizioni prodotte da faglie e sovrascorrimenti nonché i ribaltamenti dovuti ai ripiegamenti della serie stratigrafica. La chiusura e il sollevamento (inversione) di un bacino avviene di solito in un contesto orogenetico che fa seguito alla convergenza o al movimento trascorrente di due placche tettoniche. La collisione tra due margini continentali implica sempre delle deformazioni a carico delle rocce che vi sono coinvolte le quali, per formare le montagne, si piegano e si sfaldano sovrapponendosi e modificano così la posizione relativa e la geometria originaria degli strati. Anche in contesti distensivi possono verificarsi collassi gravitativi e rotazioni che alterano le strutture originarie. Lo studio delle deformazioni e la ricostruzione dei movimenti relativi delle masse rocciose è compito della Geologia strutturale.
           Una colonna stratigrafica standard, a differenza della colonnina rilevata direttamente sul posto che fotografa quella specifica realtà, è una specie di promemoria, un modello che riassume ed espone sinteticamente le conoscenze acquisite dagli studiosi su una determinata successione. In pratica si tratta di una sezione verticale come quella contornata nello schema iniziale, ma arricchita da moltissimi dettagli. Vi sono rappresentate, rispettando i loro rapporti geometrici, tutte le formazioni che compongono la sequenza e per mezzo di appositi simboli e schemi grafici sono indicate le caratteristiche delle rocce che costituiscono le singole unità. A questa ideale sezione verticale del terreno corrisponde anche una scala temporale suddivisa in unità geocronologiche (datazione relativa) e in unità temporali standard (datazione assoluta). Le date assolute si esprimono di solito in Ma o My (milioni di anni) dove M sta per mega = 106 e la lettera che segue indica la parola 'anno' o 'year' in inglese.
Colonna stratigrafica delle Dolomiti centro-occidentali.
           Questo tipo di colonna stratigrafica è uno strumento utilissimo, un manuale di rapida consultazione che integra e completa la legenda presente sulle carte geologiche tenendo conto della geometria verticale delle formazioni rappresentate. Essa fornisce una visione sinottica di tutto l'insieme, mentre sul terreno si ha quasi sempre un'immagine frammentata. Ma affinché lo schema possa descrivere adeguatamente tutte le situazioni presenti nella realtà, deve essere interpretato con una certa elasticità e adattato alle singole circostanze. Lo spessore di ogni formazione generalmente varia da luogo a luogo perciò non è possibile disegnare una rappresentazione in scala che faccia fede ad ogni situazione, a volte sul terreno possono addirittura mancare intere formazioni o parti di esse. Nel dettaglio inoltre la stessa unità può presentare suddivisioni e particolari che mutano a seconda dei luoghi. Causa l'estrema variabilità dei tassi di sedimentazione non può esservi regolarità neppure nelle corrispondenza tra potenza degli strati e scala temporale, si deve considerare che a volte strati molto spessi si sono accumulati in un intervallo relativamente breve mentre ad uno spessore esiguo può corrispondere un lunghissimo periodo di tempo. La registrazione degli eventi nel record geologico non è un processo continuo nel tempo, anzi sono piuttosto frequenti le interruzioni dovute a lacune stratigrafiche. Gli intervalli temporali che non sono rappresentati da alcuna successione rocciosa non possono essere ricostruiti, quindi eventuali parti mancanti non figurano nello schema e spesso non c'è alcun modo di individuarle. Le lacune possono derivare sia dall'assenza di deposizione (hiatus), sia dalla successiva erosione dei materiali accumulati. Ci sarà perciò sicuramente almeno una lacuna al di sopra di ogni base erosiva, che di solito viene raffigurata da una linea ondulata a significare le scabrosità del terreno prodotte appunto dall'erosione delle rocce.
Nel complesso però sarà sempre rispettato l'ordine cronologico degli eventi e quindi, sia nella rappresentazione che nella realtà, ciò che sta in basso precede ciò che è in alto e, salvo che gli strati non siano rovesciati, le rocce più recenti ricoprono quelle più antiche (principio di sovrapposizione).
Per quanto riguarda le datazioni assolute e relative si fa presente che:
- nel caso di rocce sedimentarie le corrispondenze con la scala geocronologica indicano il tempo in cui sono stati deposti i sedimenti dai quali quelle rocce derivano e non hanno rilevanza le trasformazioni successive (diagenesi).
- Per le rocce magmatiche effusive si considera il tempo della messa in posto dei prodotti magmatici (lave o piroclasti) che coincide in genere con la solidificazione completa dei magmi.
- Le intrusioni magmatiche sono rappresentate per forza di cose mentre attraversano o si posizionano all'interno di rocce più antiche, quindi leggere dalla scala temporale la loro vera età può risultare difficile se non impossibile. Quando l'intrusione raggiunge la superficie e questa non è una base erosiva, essa si può datare al punto più alto raggiunto nella scala cronologica, in tutti gli altri casi la datazione deve essere ricavata dal contesto.
- Per le rocce metamorfiche l'età più facilmente determinabile in termini relativi o assoluti è quella del metamorfismo e non quella in qui si sono formate le rocce originarie, a meno che queste non contengano relitti di fossili o non siano correlabili spazialmente con altre rocce non metamorfosate. In ogni caso si tratterebbe comunque di un'informazione aggiuntiva e non alternativa.
- Le datazioni assolute derivano da analisi radiometriche basate sul decadimento degli isotopi radioattivi di alcuni elementi chimici. Di questi è noto il tempo di dimezzamento, cioè il tempo in cui la loro quantità iniziale si riduce della metà, un dato statisticamente esatto che non può essere in alcun modo influenzato da fattori esterni. Il punto di partenza da cui calcolare l'età è quindi il momento della formazione (o neoformazione) dei minerali costituenti le rocce magmatiche (o metamorfiche) in cui questi isotopi sono imprigionati. Dopo la chiusura del sistema la loro abbondanza relativa muta regolarmente con il passare del tempo e quindi dal rapporto tra le abbondanze degli isotopi genitori e dei prodotti del decadimento radioattivo è possibile risalire all'età del minerale.
- Le rocce sedimentarie purtroppo non si prestano per eseguire datazioni radiometriche, poiché i minerali utili allo scopo derivano da altre rocce preesistenti e si procede quindi per correlazioni di tipo geometrico o biostratigrafico.
           I processi di formazione delle rocce sono stati compresi dalla Geologia grazie agli studi e alle osservazioni che hanno potuto verificare e convalidare alcune ipotesi e rigettarne altre tra quelle formulate dagli scienziati del '700 e dell'800. Solo negli anni '60 del secolo scorso la 'tettonica delle placche' (plate tectonics) è riuscita invece a spiegare la migrazione delle masse continentali anticipata da un'altra teoria enunciata nel 1910 da Alfred Wegener e nota come la deriva dei continenti, naufragata per non essere riuscita a dare una spiegazione di come alcuni margini continentali avessero potuto allontanarsi l'uno dall'altro pur avendo fornito prove convincenti che nel passato erano stati a contatto. Alla base di tutto c'è un altro tipo di stratificazione che si manifesta a una scala ancora più grande e che coinvolge l'intero globo terrestre. Di solito si usa il paragone della cipolla che però non è così calzante.
La prima distinzione riguarda crosta e mantello: il sottile strato che chiamiamo crosta terrestre è il frutto di un lungo processo di differenziazione che ha portato in superficie gli elementi chimici necessari per formare i minerali alluminosilicati che sono a loro volta i principali costituenti delle rocce crostali, nel complesso meno dense, che essendo più leggere 'galleggiano' sulla superficie (rocce sialiche o felsiche). Il mantello superiore è fatto di rocce più dense chiamate peridotiti in cui prevalgono invece ferro e magnesio (rocce femiche o mafiche). La linea di separazione è data da un cambio netto di litologia e da una differenza di densità marcata dalla discontinuità di Mohorovicic (Moho). Per riuscire a capire i meccanismi della geodinamica è necessario distinguere anche tra crosta continentale e crosta oceanica; nella prima abbondano silice (SiO2) e alluminosilicati di sodio e potassio, la seconda è relativamente ricca di ferro e magnesio, di alluminosilicati di calcio e povera di silicio. In entrambe, anche se si tende a dimenticarlo, l'elemento più abbondante è l'ossigeno che da solo ne rappresenta circa la metà in peso.
La distinzione tra litosfera e astenosfera invece è correlata con la variazione di temperatura che aumenta con la profondità. La litosfera comprende tutta la crosta e parte del mantello e ha un comportamento rigido. L'astenosfera è parzialmente fusa e ha un comportamento plastico, simile a un fluido molto viscoso. La litosfera rigida inoltre è divisa in frammenti o 'placche' che si trovano a stretto contatto lungo i loro margini. Le placche litosferiche riescono a scivolare lentamente sull'astenosfera consumandosi da un lato e accrescendosi da quello opposto. I processi di riduzione e neoformazione interessano solo la crosta oceanica attraverso i meccanismi della subduzione e dell'espansione del fondo oceanico (spreading) e avvengono sotto il livello del mare.
Nel corso della storia del pianeta le masse continentali emerse si sono perciò più volte allontanate e riavvicinate, generando catene montuose nelle zone di collisione per il semplice motivo che la crosta continentale, meno densa, non può sprofondare e andare in subduzione come quella oceanica, quindi al contatto si deforma e si inspessisce, sia in superfice che soprattutto in profondità. Anche nelle zone in cui convergono placche continentali e oceaniche in subduzione, oppure tra due placche oceaniche in fase di avvicinamento, si generano archi vulcanici e catene di montagne, sommersi o emergenti dal mare. Tutti questi e spesso anche i margini collisionali tra continenti hanno una forma arcuata per ragioni imposte dalla geometria sferica della superficie terrestre.